martedì 23 agosto 2011

Tradurre BONE - parte prima


Tradurre è trasmutare una lingua in un'altra lingua. Un testo in un altro testo. Una voce in un'altra voce. C'è, in questa alchimia, qualcosa che somiglia all'esperienza d'amore, o almeno alla sua tensione: come poter dire l'altro in modo che il mio accento non lo deformi, o mascheri, o controlli, e, d'altra parte, come lasciarmi dire dall'altro in modo che la sua voce non svuoti la mia, il suo timbro non alteri il mio, la sua singolarità non renda opaca la mia singolarità.

Così esordisce Antonio Prete nel suo All'ombra dell'altra lingua – Per una poetica della traduzione (Bollati Boringhieri, 2011).
Mentre un team grafico puliva le tavole dal lettering originale e impaginava il volume, ci siamo resi conto che era impossibile non dare a Bone una nuova traduzione. Per prima cosa, questa è la prima volta in cui Bone viene tradotto dall'inizio alla fine, senza pause, con assoluta consapevolezza del respiro dell'opera. E poi tutte le traduzioni successive alla prima edizione erano in qualche modo state debitrici di quella prima, parziale traduzione che era stata fatta quando Jeff Smith ancora non era nemmeno a un terzo del suo capolavoro. C'era bisogno di maggiore continuità.
Per esempio il problema delle rat creatures. Da sempre, in Italia, sono chiamate "rattodonti". Anche noi, quando abbiamo tradotto La principessa Rose, non sapendo ancora che avremmo un giorno pubblicato Bone, abbiamo chiamato così le rat creatures, per omogeneità con le altre versioni della storia. Ma il nome lascia presupporre che esista una tassonomia della specie, mentre per esempio gli umani, nella storia, le chiamano hairy men, uomini pelosi, e per i cugini Bone e gli altri protagonisti sono, appunto, "creature ratto". E così saranno chiamate nella nuova edizione, per rispetto dell'intenzione dell'autore e della necessaria indeterminatezza della loro natura. Quando ristamperemo La principessa Rose, correggeremo anche quella traduzione, ovviamente.
E poi i personaggi di Bone dicono spesso "okay". Visto che nella saga esistono antico e moderno (l'ambientazione bucolica della Valle cozza con il fatto che, a Boneville, Phoney Bone abbia gestito, tra le altre attività, una centrale nucleare!), il ricorso a una terminologia non arcaica non stona. Ma in italiano si tratterebbe di una doppia forzatura: di tempo, per lo stridere tra antico e moderno, e di spazio, tra l'italiano e l'inglese americano. Quindi quella parola è stata eliminata, e sempre tradotta con bene, va bene o altre forme opportune.
In un prossimo post parleremo delle voci dei singoli personaggi, uno degli aspetti più interessanti della traduzione di Bone!

1 commento:

Ramarro Esoterico ha detto...

Caspita, il mio desiderio di traduzione aumenta sempre di più a leggere articoli come questo!